MARCELLOPACI, Racconti, Ariccia (Rm), Aracne, 2019, 316, €15,00.        

 

Marcello Paci, chirurgo e scrittore,già presente con i suoi scritti nelle pagine di questa rivista, torna con questo volume, costituito da tre sezioni: «Racconti», «Graffiti», «Articoli». Da esse emergono gli aspetti di una personalità che attraversa diversi stadi della formazione fino alla maturità, stato in cui si fondono l’attitudine del narratore e del poeta, la professionalitàdel chirurgo e del giornalista, e da cui si dispiegano temi secondo paradigmi che includono la storia personale, il contesto professionale, geografico, culturale e sociale.

L’incipit del primo racconto, «Tornò a casa», indica il luogo a cui è ancorato il senso dell’esistenza, che si materializza nell’azione del ritorno. In una sorta di sequenza filmica, vediamo Osvaldo – un alter ego dello stesso A. –, valicare come ogni sera il cancello della casa di via Monte Grappa, come sempre fare il giro del giardino, considerando, quella sera – giunto alla soglia dei suoi 70 anni –di aver calpestato l’erba incolta del prato per 67 anni.

Quel cancello segna il confine che delimita lo spazio di fuori da quello di dentro: fuori, il mondo a cui Osvaldo non si era mai sentito di appartenere, avendo percorso la vita «un po’ in disparte, come quelli che camminano lungo i muri»; dentro, la casa della memoria, in cui per dovizia descrittiva sembra quasi di entrare. Tra queste mura, passato e presente stabiliscono una sorta di separazione tra l’anima che spazia altrove e il corpo che ha cura di sé, mentre, in solitudine, l’uomo dall’ombrello elegante si muove di stanza in stanza, sfiorando con il tocco immateriale dello sguardo le reliquie che richiamano nel presente, ristabilendo l’unità psicofisica, anni e persone: la fisarmonica, ultimo regalo di un padre malato al figlio decenne; il giradischi, frutto dei risparmi di una povera madre al figlio diciottenne; e i libri consunti dall’uso, tra cui Joice, il suo preferito.

Da questo fronte comincia il viaggio a ritroso, a modo talvolta di una confessione agostiniana, che si inoltra in diversi percorsi narrativi e poetici. L’A.attinge alla fonte della propria memoria, che copiosamente riversa nella scrittura turbamenti e rimpianti, i compagni e i buoni esiti di una vita di studio, la visione di sconosciuti, che si dileguano su strade senza ritorno, personaggi noti e non, stimati e compianti: tutti emergono dal passato con il loro carico di pathos, insieme ai volti più cari e indelebili.

Una memoria che detta quanto una vita può sperimentare e conservare, una «malattia del ricordo», come la chiama Grazia Deledda, che, quanto più avverte l’irreparabile svanimento delle cose, tanto più le insegue, costituendosi un’identità avvinta al passato, che si sottrae ad alcuni cambiamenti, accolti talora solo tardivamente, e che pure cerca nella scrittura una via futura, affidando alla pagina quanto non è stato possibile tramandare a un figlio.

All’esterno la strada corre fino alla ferrovia e alla vicina chiesetta di Sassonia. Altre strade ricordano con i loro nomi la Grande guerra; qua e là le case distrutte e le nuove costruite sulle loro macerie; altri luoghi hanno ormai la dimensione lontana della retrospettiva.

Una memoria tenace, quella di Paci, che ha eretto una costruzione narrativa solcata da  tracce che conducono nella stanza dove la madre sta prona a rilegare i libri, con la colla di farina e chiara d’uovo fatta in casa, o sta inginocchiata, come in una scultura poetica ungarettiana, in preghiera,in una chiesa di Pisa, fino al termine degli esami del figlio.