Hospice

 

 Giaceva sul letto, in una camera dell’Hospice.    Ora chiamano così l’0spizio.        Il termine inglese consente agli ospiti, a coloro destinati ad andarci, a quelli che sperano di non doverci andare, che non si tratta del luogo di dolore dove scaricavano un tempo i poveri, i senza famiglia, i disabili, gli infelici: appunto l’ospizio.                            Per i vecchi, si direbbe oggi, diversamente normali, c’era la famiglia che accudiva sino al trapasso, spesso con amore, comunque sempre con la presenza nei luoghi della vita.      Oggi no, le famiglie non sono più, o se si, monocratiche, laicissime, comunque impossibilitate a curarsi dei vecchi.     Se danarosi gli organizzano un ospizio a casa con badanti, comunque discosti, lontano dagli occhi.      Gli ospedali allora più accoglienti fungevano talvolta anche da ospizio, oggi no, tutto organizzato, degenze brevi, dimissioni precoci., casa se possibile, se no Hospice.    Dunque il vecchio giaceva sul lettino, mi avevano chiamato perché affetto da globo vescicale, occorreva inserire un catetere. Sulla cartella clinica lessi il luogo di nascita, il mestiere, l’età, la patologia, lo stato civile. Era siciliano di Catania, sposato, di mestiere sarto, ottantaquattrenne, affetto da vasculopatia generalizzata, con demenza senile. Una donnetta, la moglie di età simile girava nella stanza.         L’uomo non parlava, accartocciato nelle lenzuola, apparentemente assente, arrivato a quell’ultima spiaggia che non prevedeva il ritorno a casa.              Non reazioni di dolore o insofferenza alla manovra necessaria di introduzione del catetere.   Incredibilmente, nella desolazione di quella stanza danzavano note di una musica colta.    Provenivano da una sorta di registratore posto sopra il comodino.   La musica era avvolgente, sembrava una romanza dell’Ottocento.   Dissi rivolto all’infermiera e a me stesso: forse “Donizetti”?.    Lui aprì gli occhi, mi guardò, disse “no Donizetti lui è di Bergamo, questa è la Sonnambula del nostro Bellini che porto sempre con me”.   Lo andai a trovare dopo alcuni giorni.    Dalla porta socchiusa non arrivava nessun suono, nessuna musica.    Lui non c’era più, aveva inseguito “La Sonnambula” su.. su… fino in Paradiso.