Sanità e oltre

 

 

 

 

Ieri in farmacia un’anziana chiedeva un appuntamento per un’ecografia addominale prescritta dal medico a seguito dei disturbi addominali riferiti.      L’addetta alla funzione ha smanettato sul computer a lungo e dopo ha dichiarato che si era liberato un posto, in un tempo non biblico, presso l’ospedale di Amelia. Significava un viaggio di settanta chilometri, ma la donna non aveva mezzi per andarci.      Un cliente della farmacia le ha suggerito di rivolgersi ad una struttura privata lì vicino dove l’avrebbero fatta in tempi brevissimi, forse nella stessa giornata. Sanità pubblica e privata, tornata oggi prepotentemente di attualità, dopo decenni di pubblico assoluto, figlio del diritto ad una sanità universalistica e gratuita per tutti, dalla culla alla tomba.      Progressivamente non è stato più così e oggi ancora di più.   Sono entrate in gioco valutazioni economiche, di bilanci, di sostenibilità, di efficienza e di efficacia, di disegni politici.       Hanno significato chiusura di ospedali, e valorizzazione della sanità sul territorio. Di fatto il tutto si è risolto in una drammatica riduzione dei posti letto, (ne abbiamo visto le conseguenze nel corso dell’epidemia) e un’inadeguatezza delle strutture territoriali.      Nel frattempo il pubblico ha inaugurato nel suo interno la dimensione privatistica con lo scellerato istituto dell’intramoenia.      Due categorie di malati negli ospedali: quelli che hanno pagato, prima del ricovero, la visita al professionista e quindi saranno curati da lui, spesso il più esperto e dominante, e quelli che si sono ricoverati per le vie normali.   Accanto a questo, il proliferare di strutture private, per chi può permetterselo. E qui ci lavorano medici affermati che all’inizio dividevano il loro tempo tra pubblico e privato, poi si sono dedicati solo al privato.    Così gli ospedali si sono andati progressivamente sguarnendo, complici le scelte che i governi regionali e nazionale andavano compiendo.   Sino alle cliniche gestite dai privati investite dell’istituto dell’accreditamento, per cui si offrono prestazioni pagate dalla sanità pubblica. Cosa questa che sembrerebbe virtuosa data l’impossibilità del pubblico di rispondere alla domanda crescente. Virtuosa se non si pensa ai fini di guadagno che le cliniche necessariamente perseguono, e con ciò si crea un vulnus nella prestazione, una contaminazione, estranea al concetto di una buona sanità. Alle cliniche il pubblico assegna un budget, scegliere se fare o no un intervento non strettamente necessario, è scelta non asettica, si potrebbe dire drogata da valutazioni improprie.   La variabile economica fa la differenza.     Un tempo in Ospedale quando non c’era di mezzo il denaro, si poneva un’indicazione chirurgica se necessaria e urgente, altrimenti c’era la valutazione clinica nel tempo, la terapia medica e alla fine l’intervento chirurgico.    Secondo la massima del prof. Castrini patologo chirurgo a Perugia e poi clinico chirurgo a Roma al posto del maestro Stefanini: “Il chirurgo è un bravo internista che alla fine ha anche il bisturi”.                                  Oggi fare diagnosi di calcolosi della colecisti significa intervento subito, forse la preoccupazione del budget non è ininfluente..      Nel complesso un bel guazzabuglio, dove la gente si confonde, si perde, con l’unica certezza che se si vuole curare, deve tirare fuori i soldi.   Che poi non è sempre e necessariamente così.       Se c’è un problema serio, l’ospedale è ancora il terminale gratuito, efficace e di solito efficiente. Ma intorno a questa nicchia c’è il guazzabuglio. E’anche che la medicina è diventata tecnologia, si prescrivono tanti, troppi esami, quando una visita clinica ben fatta li renderebbe inutili.    Un esempio: si prescrive l’ecografia per la diagnosi di ernia, o per un lipoma sottocutaneo. L’esame non aggiunge niente a quanto possono rilevare i sensi del medico. Un altro esempio: le TAC di controllo nei malati oncologici in attesa di trattamento o nel follow-up.   Mi sono trovato innumerevoli volte nei meeting settimanali dove, esaminato il caso con esami di laboratorio, radiografici e tutto il resto, si rimandava l’inserimento nel protocollo della terapia ad un incontro successivo, nell’attesa si prescrivevano altri esami che non avrebbero aggiunto niente a quanto già visto e deciso.     E’ che fare esami tanti, troppi, crea un giubbotto protettivo intorno al medico, che anche in quel modo si difende dalle contestazioni umorali, verbali, fisiche o giudiziarie nelle quali può incorrere nella sua professione.    In questa società liquida, le persone hanno perso i punti di riferimento, glie li hanno sottratti le classi dirigenti, quelli che comandano, gli uomini di cultura, quelli che decidono come deve essere il mondo, le cose che devono essere eliminate e quelle da creare.    Da noi in Sanità hanno deciso di chiudere le strutture sanitarie del territorio e concentrare tutto nei pochi grandi ospedali e in nuove strutture territoriali che ancora latitano.   Basta ricordarsi la paralisi delle strutture durante il Covid, con la sospensione della normale attività ospedaliera, perché non c’erano più posti letto per ricoverare i malati.              I tanti posti letto erano stati soppressi perché, dicevano, antieconomici.            Il denaro così risparmiato è servito per costruire le cattedrali della salute come il Silvestrini a Perugia, quasi una città dove ci si perde.       E’ che in questa società liquida, dove tutto dovrebbe essere permeabile, hanno costruito percorsi labirintici, molossi di cemento e regole, che rendono il cammino accidentato, impossibile.    Così nella malattia non hai una persona cui rivolgerti, hai un team cangiante, mutevole.      Vi si alternano figure professionali di clinici, radiologi, endoscopisti, chirurgi, psicologi che ti vivisezionano, e alla fine, come in un processo di Kafka, proclamo una sentenza spesso asettica, fredda tanto più, quanto maggiore è la fama degli specialisti in causa.      E ti dicono tutta la verità soprattutto se infausta, come sembra bisogna fare in ossequio alla modernità, anche per chi non vorrebbe conoscerla, tutta la verità. Ma questi sono trogloditi, non hanno diritto di cittadinanza.       Perché la società liquida che ha decretato la morte di Dio e della religione, ti dice, dopo averti rincoglionito con i beni di consumo, con le crociere sulle navi Costa e i San Remo di Fedez, e tutto il resto, che devi morire e che dopo non c’è niente.                Dunque per tempo fai pure testamento a favore delle ONG politicamente corrette.