Sono stato per la terza volta a vedere l’alba sul monte Pennino. Ogni volta per vivere un tempo di amicizia con Germano, quasi il tentativo segreto di sospendere il tempo che avrebbe portato lutti ad entrambi. In quell’ultima occasione c’era più gente di sempre, anche rappresentanti della scienza, un astrofisico, un geologo, alcuni medici, e per la fede il vescovo di Foligno. Appuntamento notturno poco dopo le tre a Nocera scalo, presso la canonica di Germano. Da lì la carovana di macchine ha attraversato Nocera alta, dopo ha percorso la strada Septempedana sino a Bagnara, poi si è inoltrata sulla strada che porta ad Annifo, il paese che sovrasta da presso la piana di Colfiorito. L’ha poi lasciata per scalare gli aspri tornanti che conducono al piano sul quale si erge la vetta della montagna: il monte Pennino, il monte di Nocera, che Germano rivendica al territorio marchigiano, per essere anche la montagna che sovrasta Laverino, il suo paese nelle Marche poco oltre il confine. Nel procedere, la carovana di macchine si è impegnata come in un rally di montagna e tra nubi di polvere le ultime hanno cercato di tenere il passo, imprecando sottovoce, ma contenti come se stessero vivendo un’avventura. Lasciate le vetture, si è iniziata a piedi l’ascesa verso la cima su un prato con l’erba asciutta. Dopo pochi metri avevano già quasi tutti il fiato grosso, ma con uno sforzo di dissimulazione si continuava a parlare per non farsi accorgere dagli altri. Arrivati in cima preceduti da una Panda 4/4, la notte appariva ancora fonda e il cielo brillava di una luna piena, posta ad occidente che pareva essersi fermata lì ad aspettare il sorgere del suo ingombrante compagno celeste. L’aria asciutta rimandava al gran caldo di quei giorni a valle. Fu diversa la notte di anni prima con la guazza che bagnava i piedi inguainati in improbabili scarpe di pezza, e il fuoco improvvisato da Germano per asciugarli, con i cani maremmani delle greggi intorno, pronti ad assalirci. Anche allora ci fu il conforto della ricca colazione a base di salumi e derivati del latte delle pecore, nella bella casa di Germano a Laverino. Vi si respirava un’aria antica di benessere, frutto di tenace fatica con la natura intorno nemica. Era stato caldo intenso in quei giorni in città, e ora il freddo della notte era cosa gradevole, mentre ci si disponeva all’attesa dell’evento. Germano teneva insieme la truppa, raccontando storie di partigiani, animali, pastori, rastrellamenti tedeschi, e altre infinite che la sua mente custodiva. Ma soprattutto ci diceva con entusiasmo del sole che avremmo visto sorgere dal mare, laggiù, in fondo alla valle del Potenza. Avremmo ammirato lo straordinario spettacolo dell’apparire di quella palla di fuoco che si poteva guardare senza che gli occhi rimanessero offesi, abbagliati. Per alcuni minuti il sole, non ancora uscito dalle acque, sarebbero riuscito a mandare la sua luce per effetto di rifrazione. Per quel breve tempo si poteva guardare, un attimo prima che il mare si incendiasse di luce e subito dopo i raggi si impadronissero del cielo, con gli occhi che dovevano ritrarre lo sguardo da quella massa incandescente. Lo aveva raccontato tante volte questo spettacolo, Germano e ogni volta ridiventava bambino e si entusiasmava di nuovo e di più. E non credevo che a vederlo sarebbe stato così bello come lui lo raccontava. Bisognava esse nato tra quei monti come lui, avere il DNA di generazioni di montanari che avevano visto quel sole prima che lui nascesse, e lo avevano scritto nelle sue cellule e lui ci sarebbe andato in cima a quel monte come spinto da necessità. Io ed altri con me eravamo figli di altri monti, avevano avuto in eredità il fascino dei muri antichi, degli acciottolati romani, di ponti in rovina. Erano stati muratori per generazioni e non potevano lasciarci altro. Potenza della natura che ci fa uscire dal noi stessi di oggi a rincorrere un filo invisibile che viene dal profondo per la legge ineluttabile del determinismo genetico. Questa volta dunque per l’azione demiurgica di Germano lo spettacolo si annunciava ancora più straordinario, complici anche le storie raccontate nell’attesa e il grande concorso di gente. Però quando l’orologio cominciò a segnare l’ora dell’alba, il sole sembrò voler tirare uno sberleffo. In più la luna piena ad occidente mandava uno straordinario chiarore che attenuava il buio della notte, ma avrebbe diminuito l’effetto incantato dell’apparire della luce solare. Nella mente di Germano vagavano pensieri funesti che lo rendevano inquieto. Come un pastore raccoglie le greggi all’apparire di un pericolo, così lui correva in lungo e in largo per tenere uniti, per rinfocolare l’entusiasmo provato dall’attesa. Raccontava nuove storie di montagna, invitava il geologo, l’astrofisico, il medico ad intervenire, e così anche il vescovo ancora provato dalla salita, fu sollecitato a dire parole. E le trovò toccanti, da riscaldare il cuore. Per il corpo cominciarono a circolare coperte per proteggersi dal freddo, si accendevano sigarette, i bambini instancabili correvano richiamati dai genitori. In tutto questo si registrava qualche defezione, ed alcuni pochi per la verità mimetizzandosi nel buio ripresero la strada per le automobili da basso. Alla fine quando pareri autorevoli, ad ora aurorale ormai sopraggiunta, indicavano in quelle foschie lontane, delle nubi impenetrabili e quindi il sole non si sarebbe visto se non ormai alto nel cielo, Improvvisamente il fenomeno del sorgere del sole sul mare apparve in tutta la sua magia. Gli occhi e l’anima seguirono il crescere della palla dorata che si lasciò guardare per alcuni minuti prima di incendiare il mare con i suoi raggi ed allontanare la notte. È finita con la colazione come da programma a Laverino nella casa di Germano, in un’atmosfera di amicizia e gioiosità. Ognuno poi ha ripreso la strada di casa. Appuntamento al prossimo anno a Dio piacendo.