Delle multinazionali del farmaco.

 

Moderna, Pfizer, AstraZeneca, Johnson e Johnson, Sputnik, Sinovac, sono i vaccini con cui il mondo sta difendendosi dall’attuale pandemia. Oggi è il virus, ma da sempre l’uomo è in lotta con l’ambiente che lo circonda che evolvendo e mutando attenta allo sviluppo quando non alla sopravvivenza della società umana. Nella guerra di sopravvivenza si impiegano armi sempre più raffinate e sino ad ora l’umanità è riuscita a proseguire nel suo destino di conoscenza e progresso. Questa volta è il Covid che viene ad insidiare la vita, a promettere stragi ulteriori, a bloccare il progresso, addirittura a farci regredire a passate, dimenticate forme di esistenza. Tutto, per questo insignificante vermiciattolo non ancora cellula, che per vivere ha bisogno di annidarsi dentro di noi. Furbo e intelligente, muta il suo aspetto, si nasconde, cambia qualcosa, e ricompare quando sembrava sconfitto, più cattivo e aggressivo di prima. Ci difendiamo, e se non possiamo eliminarlo, e sembra così, cerchiamo di limitarne gli effetti mortali. Nella battaglia sono scesi in campo i colossi della farmacologia mondiale, in particolare statunitense. Una gran bella cosa, tutto il mondo si adopera per sconfiggere il nemico di tutti, ma le ricadute non sono così democratiche a cominciare dal tasso di vaccinazione alto, in alcuni casi altissimo, dell’Occidente, basso o bassissimo nel terzo mondo. Per questa parte del mondo, problemi nell’approvvigionamento, e soprattutto problemi di costo. Ma il privilegio dei paesi ricchi è aleatorio perché dai paesi non vaccinati il virus diabolicamente mutato viene a vanificare il nostro vantaggio. Finché tutto il mondo non sarà sufficientemente coperto dal vaccino non potremo stare tranquilli. E allora ci vorrà la quarta, la quinta, e chi sa quante altre somministrazioni. C’è poi un risvolto finanziario dietro questa pandemia, un vorticoso giro di denaro che la globalizzazione ha reso inimmaginabile.  La tecnica sofisticata che ha consentito lo sviluppo degli attuali vaccini è nelle mani di poche multinazionali che distribuiscono il medicinale in tutto il mondo, a parte forse la Russia e la Cina dove lo Stato è verosimilmente l’imprenditore di riferimento. Dunque un’enorme massa di denaro che affluisce nelle case delle aziende, da far impallidire le risorse della maggior parte dei paesi del mondo.  Il denaro è potere e non sappiamo come verrà impiegato, speriamo per nuove ricerche. Certo questa calamità di un virus misterioso, del quale persistono nebbie sull’origine e la diffusione, insieme al vorticoso giro di denaro che ne è conseguito, insieme alle contraddizioni della comunicazione scientifica e giornalistica, insieme ad altro ancora, hanno creato un’inquietudine nella gente. E questa inquietudine è discesa nelle menti e nel cuore degli umani come un veleno sottile e ha dato luogo a sospetti e macchinazioni duri da eliminare.

Non è stato sempre così, in quanto alle ricadute finanziarie della ricerca scientifica e all’organizzazione della stessa. Oggi monopolio delle multinazionali con eserciti di ricercatori dove si avrebbe difficoltà ad individuare il singolo cui attribuire il merito della scoperta. Non è stato sempre così e l’anniversario dei cento anni dalla scoperta dell’insulina ci consente di dare testimonianza di quanto sopra affermato.              Dunque nel 1921 in Canada, all’Università di Toronto, un medico un po’ bislacco, si chiamava Frederick Grant Banting, si dedicò allo studio del pancreas per isolare da questo organo l’ormone che era in grado di abbassare il livello degli zuccheri nel sangue e nelle urine. Era una malattia conosciuta sin dall’antichità, per la quale si era coniato il termine di diabete. In anni recenti rispetto a quelli di cui stiamo parlando si era ipotizzato che fosse il pancreas l’organo che produceva l’ormone che controllava il metabolismo glicidico e si erano individuate anche le cellule beta degli isolotti di Langherans che lo producevano. Da qui il nome di insulina che gli fu dato, ma non si era mai riusciti ad isolare l’ormone, per impiegarlo poi come farmaco contro il diabete. Banting oltre ad aver studiato medicina era anche tante altre cose. Come volontario nella grande guerra aveva combattuto in Europa guadagnando una medaglia d’oro per ardimento e coraggio.  Lanciatosi all’attacco delle trincee tedesche in mezzo al fuoco delle mitraglie e dell’artiglieria, in corpi a corpo micidiali, ad un certo punto saltò in aria per lo scoppio di una granata.  Si ritrovò nel fondo di una buca, quasi illeso, con accanto un giovane tedesco che nell’attacco lui aveva trafitto con la baionetta del fucile, ora gli stava accanto con l’addome squarciato, occhi disperati che chiedevano un aiuto, un conforto. Lui combattente e nemico non dimenticò di essere medico, si strappò la camicia e tentò di tamponare la ferita e aiutare la respirazione, ma non riuscì. Tornato in America e lasciato l’esercito, gli venne l’idea di lavorare sul pancreas per dar seguito a quelle conoscenze sull’insulina di cui aveva letto in una rivista scientifica. Dunque chiese ad un professorone dell’università di Toronto, John James Rickard Macleod una stanza e uno stabulario di cani per i suoi esperimenti. Gli furono concessi, non senza difficoltà, insieme ad uno studente in medicina che si chiamava Best. La ricerca andò bene e l’insulina fu isolata, ma con grandi contrasti e tentativi di appropriarsi dei risultati della ricerca da parte di terzi, primo fra tutti il cattedratico che gli aveva concesso l’ospitalità. Questi prese a girare il mondo per congressi medici, vantandosi e attribuendosi la scoperta del farmaco che curava il diabete, ma aveva dimenticato il carattere e il passato guerriero di Banting che lo attese al ritorno dal suo tour e lo scazzottò di santa ragione. Comunque alla fine l’insulina divenne un farmaco di diffusione mondiale e ha salvato milioni di persone in questi cento anni che sono trascorsi dalla scoperta. Nel 1923 a Banting e Best fu conferito il premio Nobel e associarono nel riconoscimento anche Macleod ed un chimico suo collaboratore Collip.  Straordinaria è la conclusione di questa storia. Dopo alcuni mesi dalla scoperta si presentò a Banting un signore da New York con una valigetta. L’apri e mostrò il contenuto: erano 10 milioni di dollari in banconote di grosso taglio. Disse “dottor Banting se mi vende il brevetto dell’insulina questi sono suoi”. Banting chiuse la valigetta la restituì in malo modo e congedò l’interlocutore. Subito dopo andò all’università di Toronto dove aveva fatto la ricerca e vendette il brevetto.  In cambio chiese un dollaro e da allora nella produzione di insulina non si pagano royalties. Ogni confronto con la modernità è a discrezione di chi legge.